Il contatto con il corpo. Qualcosa di inaspettato.
Il corpo è il punto di partenza nella pratica dello yoga.
Lo capiamo da subito e non solo perché affrontando le prime posizioni - Asanas - il fastidio - quando non il dolore - dell’essere in una posizione mai sperimentata prima, si fa sentire inesorabilmente.
La cosa fantastica dello yoga è che ci insegna a “stare”. Siamo sempre così abituati a muoverci, a fare qualcosa, a essere attivi - o almeno a credere di esserlo - che quasi non ci rendiamo conto di avere un corpo; lo utilizziamo senza averne consapevolezza, oserei dire senza rispetto, perpetuando i nostri comportamenti re-attivi.
Nella pratica yogica sin dalle prime lezioni, abbiamo l’opportunità di sperimentare un nuovo modo: stare fermi. Incominciamo la sessione in Shavasana - la posizione morente – e viviamo subito qualcosa di nuovo: sentiamo come sta il nostro corpo a terra, lo spazio che occupa, il peso sul pavimento, ascoltiamo il nostro respiro.
Con la pratica impariamo a entrare in una posizione, a stare in quella posizione, e poi a uscirne. Sono tre momenti che se ci facciamo prendere dalla fretta tendiamo a confondere, saltiamo le tappe, non percepiamo le informazioni che ognuno di questi stati ci trasmette.
Nell’immobilità, nella lentezza, possiamo osservare cosa succede, quali effetti si producono dentro di noi.
E’ a questo punto che sperimentiamo empiricamente che senza la capacità di stare “qui e ora” non c’è ascolto e senza quest’ultimo non c’è progresso. A quale tipo di progresso mi riferisco e in quale direzione posso progredire ?
Lo sforzo muscolare, per quanto talvolta fastidioso, rappresenta in realtà la possibilità di entrare in contatto con il nostro limite. L’esperienza è immediata e concreta: l’estensione della gamba arriva li e non oltre, mi danno, mi tiro, mi sforzo, produco anche dei suoni come per invocare aiuto ma a nulla sembrano servire.
Mentre vivo la frustrazione sul mio tappetino, la voce dell’insegnante mi guida nella posizione attraverso il respiro e io, come accadesse per la prima volta, scopro l’azione respiratoria, talmente automatica da passare normalmente del tutto inosservata, eppure così vitale quando pensiamo che è il respiro a segnare l’inizio e la fine della nostra esistenza.
Ora ho l’occasione di respirare consapevolmente e di osservare il miracoloso legame che esiste tra il soffio e il movimento del corpo, non solo nella sua totalità ma in ognuna delle sue piccole parti: i muscoli, i tendini, lo scheletro, gli organi vitali. Posso percepire il respiro molto concretamente al mio interno, lo posso seguire nel suo percorso e non solo, posso creare spazi nuovi dove si possa avventurare, espandendosi.
In questa fase, l’azione respiratoria è parte della nostra fisicità, un facilitatore dell’espansione o della ritrazione muscolare. Guidato attraverso la mente nelle zone del corpo più sollecitate dalle posizioni, il respiro diventa un rimedio al dolore muscolare e attraverso un nuovo rilassamento mi aiuta a progredire nella posizione, a superare il mio limite iniziale per affrontarne uno successivo. Con l’attenzione sul soffio posso ottenere un movimento fluido del corpo, essere avvolta e rapita in un movimento ondulatorio, il corpo che si espande e che si ritrae in un percorso circolare senza fine.
Questa parte fisica della pratica yogica mi ha fatto negli anni pensare a una delle quattro funzioni della coscienza che C.G. Jung ha definito nelle tipologie psicologiche: la sensazione (nel modo introverso) e che egli faceva corrispondere all’elemento Terra.
Infatti la persona che ha come funzione psicologica superiore (= il modo principale con cui ci adattiamo alla realtà) la funzione Terra viene da lui descritto come “Essere simile a una pellicola fotografica che tutto assorbe. Ogni dettaglio produce su questo tipo un’impressione molto precisa. L’impressione va dall’oggetto al
soggetto, e come una pietra che cade in profondità, egli la assorbe al proprio interno”.
Questo ovviamente non significa che la pratica yogica sia in particolare adatta ai tipi con funzione psicologica Terra ma certamente a questa tipologia viene piuttosto naturale entrare dentro, assorbire all’interno quello che si produce durante le Asanas e rimanervi in contatto con una certa agiatezza.
La pratica yogica, in quanto pratica di vita, si addice a tutti i tipi psicologici, ognuno la affronterà con la sua inclinazione prevalente scoprendo via via come integrarla successivamente con le altre funzioni di supporto.
Conoscere il proprio corpo, sentirlo e rispettarlo nelle sue qualità uniche è una base fondamentale sia per la pratica che per l’esistenza. Il corpo in quanto materia-terra rappresenta il nostro fondamento, radicamento. Ciò che ci è necessario per vivere e senza il quale non potremmo mai avventurarci in altre dimensioni, né quella psichica né quella spirituale.
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